Editori e Promozione – Studio83, ti scrivo
Nei giorni scorsi comunicavo via e-mail con un piccolo editore a cui ho chiesto di poter usare l’argomento di conversazione come spunto per un post. Il nocciolo della questione era, detto un po’ bruscamente, la lamentela: vendere libri è impossibile, gli italiani non leggono, la gente non compra, non si fanno affari. Si giustificava poi l’assenza di editing, impaginazione, correzione bozze con l’assenza di un introito, incolpando ancora i lettori che, non comprando libri, non forniscono all’editore i soldi per l’editing e tutto il resto.
Negli ultimi mesi ho partecipato anche a svariate discussioni su vari gruppi tematici di Facebook in cui si affermavano cose simili, spesso anche con astio nei confronti degli italiani.
Trovo che questo atteggiamento da parte dell’editoria, grande o piccola che sia, sia sbagliato e dannoso. Punto primo, sposta le responsabilità sull’utente finale, il lettore, ignorando tutto il percorso che c’è dietro la realizzazione e la promozione di un libro, percorso su cui l’utente non ha alcun potere decisionale. Secondo, impedisce di avere una chiara visione degli errori di marketing commessi, o legati alla qualità del prodotto e a tutti quegli elementi che permetterebbero di avere un mercato e buone vendite.
Osserviamo il discorso da un nuovo punto di vista: l’editore non fa editing, non cura le pubblicazioni, non le promuove perché non ha i soldi; il cliente o non conosce il libro, che appunto non viene promosso, o ne acquista uno confezionato male (magari con un prezzo di copertina molto alto) e cancella l’editore dalla propria lista. A questo punto, il lettore è anche accusato di non aver sostenuto l’editore coi propri soldi.
Spostiamo tutto verso una metafora: una persona decide di aprire un ristorante. Non sa cucinare, ma non può permettersi di assumere uno chef, così si mette ai fornelli da solo. Non ha soldi da investire in prodotti di qualità, così compra il materiale al discount. Non può permettersi olio e padelle, così cuoce la pasta, ci versa sopra il sugo crudo e la serve ai clienti: ma gliela fa pagare venti euro, perché è un piccolo ristoratore, mica una grande catena che può permettersi prezzi bassi. Allo stesso modo non promuove il ristorante, non acquista un’insegna visibile, non espone il menù all’esterno. I pochi clienti arrivano lì per caso e non tornano più. A quel punto, il ristoratore capisce di non guadagnare quanto sperava e dà la colpa agli italiani che non mangiano abbastanza o preferiscono mangiare altrove.
Forse è arrivato il momento, per gli editori, di scardinare tutte queste credenze sbagliate e smettere di scaricare le responsabilità sugli altri. Chi ha un’attività commerciale sa che, se non riesce vendere (prodotti o servizi che siano), significa che sta promuovendo male il proprio business e interviene di conseguenza. Stesso discorso dovrebbe valere per la vendita dei libri: un ottimo punto di partenza è osservare chi invece ha successo e capire come imitare le sue strategie.
Negli ultimi anni ho osservato autori e relativi libri che sono riusciti a “sbancare” e ho cercato di capire cosa facessero di speciale. Tutti si promuovevano senza sosta, organizzando decine di presentazioni, utilizzando i social, mettendo insieme una rete di lettori, offrendo sconti, giveaway, creando un pubblico e attirandolo.