Ancora sugli editori a pagamento
Mi capita spesso di iniziare un dibattito via mail con qualche scrittore o scrittrice che ci contatta per avere informazioni sul nostro lavoro. Con alcuni, manteniamo i contatti anche dopo aver collaborato e diamo inizio a belle corrispondenze. Ecco l’estratto di un recente scambio:
Ho scritto:
C’è una caratteristica sempre uguale che permette di fare delle generalizzazioni sugli editori: la richiesta di contributo. L’editore a pagamento guadagna dallo scrittore, quello non a pagamento guadagna dal numero di copie vendute e divide questo guadagno con lo scrittore, che nell’ordine “naturale” della filiera non è un CLIENTE ma il principale PRESTATORE DI OPERA DI INGEGNO. Capisci quanto è macroscopica, statutaria la differenza?
(…) Lo scrittore non deve pagare. È vero, oggi essere pubblicati è difficilissimo e anche nel mondo editoriale “serio” spesso è questione di conoscenze o intrallazzi.
È anche possibile che un autore geniale, frustrato dalla chiusura di questo mondo, si paghi la pubblicazione e in questo modo mostri il suo talento… ma a fronte delle centinaia di libri letti, non ne ho ancora incontrato uno, e nella quasi totalità dei casi ho dovuto riscontrare una qualità davvero bassa, sia dal punto di vista editoriale che letterario e addirittura ortografico e linguistico. Nella quasi totalità dei casi, lo scrittore che si è pagato la pubblicazione non era assolutamente pronto per pubblicare qualcosa e l’editore a pagamento se ne è semplicemente fottuto, proprio perché l’obiettivo aziendale non sono libri “di qualità” (qualsiasi cosa voglia dire), ma semplicemente copie STAMPATE. Questo porta a un naturale e ovvio calo della qualità, perché anche se lo scrittore è in gamba, il risultato non è fatto solo da lui, ma da una serie di interventi collettivi e successivi che trasformano il manoscritto in un libro pronto alla pubblicazione.
Lo scrittore in questione mi ha risposto con un quesito interessante:
Di sicuro un’opera edita a pagamento non sarà un lavoro completo e ben smerigliato come una edita da un editore che ha interesse a lavorarci sopra. Su questo non ci piove. Da una parte però io la vedo anche come la differenza che passa tra lo zucchero bianco, bello raffinato e lavorato, più dolce e di facile assimilazione, e lo zucchero di canna, grezzo, meno dolce, meno facile… ma anch’esso zucchero. Ciò che li differenzia è la lavorazione che ne fanno terzi, non il fatto di essere un libro.
(…) Io non volevo difendere gli editori a pagamento, sono a considerarsi alla stregua di stampatori di libri, niente di più. Quello che un po’ voglio è difendere la scelta delle persone di pubblicare a pagamento da un generale e troppo cieco puntargli il dito contro. Personalmente, avendo passato parecchi anni all’interno di una certa scena musicale, ne ho appreso la filosofia e ho cercato stupidamente di farne uso quando ho deciso di pubblicare i racconti. Volevo utilizzare i racconti come un demo… nella scena musicale è pratica normalissima e non opinabile pagare per registrare un demo con cui farsi conoscere, lo fanno letteralmente tutti e non capisco perchè invece nell’editoria italiana sia ancora considerata una pratica esecrabile (spesso anche i print on demand vengono massacrati a priori) (…).
Quello che mi da fastidio è questo atteggiamento tipico della domanda: sei disposto anche a pagare per il solo gusto di vederti pubblicato?