C’era una volta…
Leggendo un articolo su Corriere.it, in cui Paolo Di Stefano si lancia in un’appassionata difesa delle fiabe tradizionali citandone alcuni aspetti non proprio centrali, mi sono trovata a riflettere sulla fiaba.
In “Quei libri per bambini, senza buoni né cattivi” Di Stefano prende le mosse dalla critica a una pubblicazione di “fiabe rivisitate” (con dubbio gusto, mi pare di capire ): “E morirono tutti felici e contenti”. Da lì, Di Stefano delinea un “o tempora, o mores” in difesa della cara vecchia fiaba:
Sarà che bisogna abituare i bambini, da subito, al mondo in cui vivranno. Come dire: niente illusioni, cari ragazzi, le cose purtroppo vanno così. Il fatto grave è che non esiste più, per i nostri figli e nipoti, neanche nella fantasia, un altro mondo in cui cercare scampo e da cui uscire rinfrancati.
Questo passaggio in particolare mi ha suscitato forti dubbi: perché le fiabe tradizionali non sono affatto nate, né sono raccontate per far “evadere dalla realtà” bambini e bambine. Al contrario, spesso contengono elementi di una ferocia raccapricciante.
Le fiabe trattano, con un linguaggio questo sì molto diverso da quello di oggi, temi controversi e pesanti, dando loro lo stigma di tabù. In “Pelle d’Asino”, ad esempio, il Re inconsolabile per la perdita della Regina si innamora della ragazza che più le assomiglia: la loro giovane figlia, che inorridita fugge per evitare il matrimonio con suo padre. Una perifrasi nemmeno troppo velata che presenta al bambino la realtà dell’incesto e il suo orrore.
La volontà di dare ai nostri figli e figlie dei mondi di fantasia dove fuggire è tutta moderna: nata con la “creazione” dell’infanzia borghese, e in seguito con le favolette Disney piene di lieti fini e pucciosi animali antropomorfi che cantano canzoni.
Il concetto del “cercare scampo”è una proiezione che distorce la realtà. Un desiderio che l’adulto ha e che proietta sul bambino, ma ricordiamoci che:
bambini e bambine sono già bravissime a immaginare, evadere, fantasticare e creare da sole, è una facoltà umana che nell’infanzia può dispiegarsi facilmente; è certamente favorita e nutrita dagli stimoli ma è fisiologica, non c’è bisogno di fiabe, il racconto è innato.
bambine e bambini hanno bisogno di essere introdotti alla realtà: noi adulti non dobbiamo proteggerli con l’escapismo, ma trovare le parole giuste a seconda dell’argomento e del contesto. E la fiaba è sempre stata il modo principale per farlo: la fiaba è “istruttiva”, trasmette valori e significati, non fugge di fronte ai problemi ma mostra attraverso un linguaggio simbolico i modi per vincerli.
Le favole non dicono ai bambini che i draghi esistono. Perché i bambini lo sanno già. Le favole dicono ai bambini che i draghi possono essere sconfitti.
Gilbert K. Chesterton
Tralascio qui il discorso relativo agli archetipi junghiani, foriero di altre possibili e lunghe considerazioni. Ma ila fiaba è un veicolo di trasmissione culturale che va al di là della singola storia: i conflitti tremendi delle fiabe sono narrati anche per fornire chiavi di interpretazione culturali, cioè proprie di quella certa cultura che le genera; e per spiegare il mondo in cui si andrà a vivere, servendosi di metafore e simboli in una cornice allegorica. Allegoria NON vuol dire finzione, tanto meno fuga dal reale, anzi!
Il fantastico è vero, naturalmente. Non è reale, ma è vero. I bambini lo sanno.
Ursula K. Le Guin, “Il linguaggio della notte”
Di tutto questo, nel pezzo di Di Stefano non c’è alcuna traccia. C’è invece un rovesciamento, un artificio retorico che si serve del paradossale e dell’esagerazione, ma che secondo me dimostra proprio come sia sfuggito il punto della questione, la natura e la funzione della fiaba.
Fossero nate oggi, le fiabe più famose sarebbero ben diverse: Biancaneve verrebbe stuprata da Brontolo ben prima di essere raggiunta dal bacio del principe azzurro; Cappuccetto Rosso ucciderebbe sua nonna per portarle via la pensione.
“Quei libri per bambini, senza buoni né cattivi”, Paolo Di Stefano
Ecco, questi sono periodi a effetto, ma fuori strada. Perché nelle fiabe di una volta si faceva anche peggio di così!
Vogliamo parlare dei vecchi tempi?
Non andiamo troppo indietro nel tempo: ne “La Sirenetta” di Andersen il lieto fine (che Di Stefano nel suo articolo rimpiange) consiste nel fatto che la Sirenetta fallisce il suo scopo e muore sciogliendosi nella spuma del mare, ma il Buon Dio, impietosito, le dona un’anima (che essendo una creatura marina non ha) consentendole di varcare le soglie del Paradiso. Yuppi!
Risaliamo indietro. “Cappuccetto Rosso” fa parte di un corpus di fiabe risalenti più o meno alla Francia del Re Sole, come del resto la Bella Addormentata. In queste fiabe, protagoniste indiscusse sono le Fate, creature magiche che possono essere di una crudeltà raggelante. Sono in buona compagnia con i crudeli nani, sleali, ributtanti e politicamente scorretti, che fanno di tutto per poter estorcere a re e regine le loro figlie in spose e spesso ci riescono. Oggi – non ieri – si chiamerebbe stupro. La popolarissima fiaba del nano Tremotino, dove la principessa scampa per il rotto della cuffia, va di pari passo con altre fiabe nelle quali i nani si portano via la malcapitata di turno “facendone la propria moglie”, per dirla bene.
Nelle fiabe nordiche, una componente molto presente è quella del fratricidio. C’è un conflitto aperto tra un fratello minore furbo e intelligente, Ceneraccio, e i suoi fratelli maggiori invidiosi e sleali, che non perdono occasione per buttarlo in crepacci, venderlo come schiavo ai troll o direttamente ucciderlo e farlo a pezzi.
Un’altra componente nordica è quella dei Troll, noi li chiameremmo Orchi, che assalgono i viandanti e li mangiano. Spesso, giovani principesse vengono fatte a pezzi per poi essere ricomposte dall’eroe grazie a qualche unguento magico e i Troll vengono gabbati e si trovano a mangiare i propri figli.
Per le fiabe italiane, penso che la lettura di Calvino consenta già di farsi un’idea del modo in cui una dura realtà veniva introdotta ai/alle bimbe; passando per le fantasmagoriche “Le Mille e una Notte” fino alle fiabe di Fedro mutuate da Esopo, mi sembra che ci sia molto materiale per poter dire che sì, una volta era diverso… i lupi erano cattivi e pericolosi (non cuccioloni minacciati dall’estinzione) e i cattivi erano davvero cattivi.
I bimbi e le bimbe si divertivano lo stesso, ma rabbividivano anche. E almeno erano avvisati, con buona pace di qualche lieto fine in meno.