Quando siete felici, fateci caso – Kurt Vonnegut

Da poche settimane è nelle librerie il volume contenente “Tutti i racconti” di Kurt Vonnegut, edito da Bompiani, che con questa uscita risponde benissimo al grande interesse degli ultimi anni verso lo scrittore di “Mattatoio5”, da molti considerato erede di Mark Twain.

Prima di Bompiani, Kurt Vonnegut è stato pubblicato in Italia dalle edizioni Eleuthera, e poi da Feltrinelli e Minimum fax.

Abbiamo letto per voi “Quando siete felici, fateci caso”: una breve collezione di interventi di Vonnegut, che però, contrariamente ad altre (penso di aver letto tutto il Vonnegut in italiano tranne i Racconti di Bompiani, ma rimedierò presto) non consideriamo una pubblicazione ben riuscita.
Ecco perché!

“Quando siete felici, fateci caso”, Kurt Vonnegut

Non avrei mai, mai, mai pensato di dirlo di un testo di Kurt Vonnegut: ma questo è un libro che si può anche fare a meno di comprare, se non di leggere. Persino un’appassionata allo stato terminale, come me, non può che essere critica verso tale “fatica” di Minimum Fax targata Vonnegut (no, non è il contrario, è esattamente così).

A onor del vero, infatti, va detto che il (de)merito è tutto dell’editore: sia quello statunitense, che ha confezionato il libro, sia Minimum Fax che lo ha tradotto e ben venduto. “Quando siete felici fateci caso” è infatti una buona operazione commerciale: copertina colorata perfetta per uno shopper chic, titolo a effetto, grande nome, e all’interno una mera risciacquatura di piatti.

Nel libro vengono riportati i discorsi che Kurt Vonnegut ha tenuto nel corso di alcune cerimonie di laurea, i cosiddetti commencement speech che i guru sono chiamati a fare ai ragazzi per motivarli.
Il concetto sarebbe anche potuto passare: dei messaggi alla gioventù, da un grande scrittore e filosofo, portatore sano di un umanesimo di ispirazione socialista e cristiana, rappresentante del bello più bello della cultura occidentale, e implacabile accusatore del marcio in essa.

Sicuramente, se leggiamo questi discorsi senza conoscere Vonnegut saremo colpiti da una serie di aspetti che sono il suo marchio di fabbrica: il tono scanzonato, il profondo umanesimo, l’anticonformismo ragionato e costruttivo, il pessimismo fattuale che nasconde invece la grande fiducia nei sentimenti umani e nella bellezza della vita.

Però pensateci un attimo: anche essendo un grande filosofo e autore di professione, se l’occasione è la stessa (laurea), il pubblico è quello (laureat* di belle speranze) e il corpus filosofico è semplice e definito… non si corre il rischio di ripetersi un po’?

È naturale che sia così. Non è naturale che, dopo una vita spesa a diffondere messaggi profondi e veri in modo incredibilmente efficace, qualcuno incolla quattro delle tue produzioni minori e le spaccia come la tua summa.

Qui Vonnegut fa un po’ la figura che afferma ironicamente di temere di fare: quella del vecchio rimbambito che ripete a cantilena quattro grandi verità.
Possiamo farne a meno. Tutti. Noi, lui, avrebbero dovuto farlo anche gli editori.

Il mettere uno dopo l’altro una serie di discorsi che dicono tutti la stessa cosa è un’operazione secondo me sconsiderata. Serve a sfruttare un nome e a fare cassa, ma non rende onore a quel nome e non tratta bene i lettori e le lettrici.
La stroncatura è dunque rivolta a chi ha assemblato parole in modo un po’ scriteriato, un po’ cinico; non certo a quelle parole, né a quel nome.
Spero che mi capirai, Kurt! Così va la vita!

Per conoscere meglio la filosofia di vita, i messaggi (e gli zii!) di Vonnegut leggete “Un uomo senza patria”. E “Destini peggiori della morte” per seguire i suoi scatenati voli pindarici e le sue improvvise epifanie.

Oppure, potete leggere la nostra intervista: un’esperienza di quasi morte in cambio delle parole di Kurt. Dio la benedica, dottor Welby!