Scrivere per stereotipi significa scrivere male!
Sulle pagine del nostro blog ci siamo più volte soffermate su una questione da sempre complessa, che ciclicamente, a seconda del vento che tira nel dibattito pubblico, si fa anche spinosa.
Parliamo degli stereotipi, che a volte sono presenti anche nei romanzi che leggiamo e nelle storie che scriviamo.
Vale la pena ricordare cos’è lo stereotipo: non è il tòpos narrativo, non è nemmeno il cliché, è piuttosto una schematizzazione concettuale che banalizza dei concetti o delle persone, e spesso si rivela svilente, quando non offensiva, nei confronti degli oggetti di tale semplificazione.
Gli stereotipi cadono di fronte all’umanità. Noi esseri umani siamo compresi meglio uno alla volta.
(Anna Quindlen)
Lo stereotipo è semplice, immediato, si ricorda subito, spesso è anche divertente per chi lo usa (che non essendo colpito direttamente da esso, non si sente offeso e trova semplice “farsi una risata”): per questo il ricorso allo stereotipo è comune, e per questo gli stereotipi sono difficili da superare.
Lo stereotipo inoltre è la modalità con cui si veicolano pregiudizi: e cosa c’è di più radicato e tenace di un pregiudizio?
Eppure… eppure, al di là di come la pensiamo su un certo argomento, al di là di quanto ci può stare simpatico un preciso gruppo di persone, c’è una ragione comunque valida per cui dovremmo impegnarci a evitare ogni stereotipo in quello che scriviamo: ricorrere allo stereotipo significa scrivere male, togliere qualità, credibilità e profondità alla nostra prosa.
Gli stereotipi sono una scorciatoia della mente per affrontare le complessità.
Robert Lane
Lo stereotipo è qualcosa di trito e ritrito, di condiviso fino alla nausea, di esausto. Incappare in qualcosa del genere mentre si legge mette subito la voglia di chiudere tutto alzando gli occhi al cielo.
Non è così?
La femme fatale bellissima e mortale, vestita aderente, con le labbra rosse come il peccato e i capelli color del grano maturo. L’indigeno che zompetta facendo versi e che quando vede l’astronauta si inchina, considerandolo “eletto”. Il poliziotto spalla del protagonista, family man che fa allegre battute durante le azioni e muore per salvare l’eroe prendendosi una pallottola al suo posto. Il ragazzino grassoccio che suda, ansima, mangia ciambelle, ha sempre fame, inciampa, che ridere! La bruttarella della classe, brava in matematica e con gli occhiali, che quando viene notata si toglie gli occhiali e diventa bellissima, e al ballo tutti muti. L’alieno filosofo che viene dal profondo dello spazio per dire all’umanità di non fare la guerra, e poi scopre LE EMOZIONI e capisce che in fondo noi semo i mejo. La fidanzata fedele con il consiglio saggio nella tasca del cardigan. Il killer lupo solitario. Il bello e dannato. La ricca e stronza. L’irlandese ubriacone.
C’è davvero bisogno di continuare a scrivere cose del genere?
La banalità è un sintomo di non comunicazione. Gli uomini si nascondono dietro ai loro cliché.
Eugene Ionesco
Non è questione di idee né di contenuto, è questione di metodo.
Lo stereotipo adottato in modo piatto e acritico, che vada a svilire non “solo” gruppi di persone ma anche, con questo, la complessità passibile di rappresentazione, è dannoso anche per il testo stesso, perché produce storie più brutte, scritte peggio di quel che potrebbero essere se libere da esso, e spesso irrimediabilmente datate.
Gli stereotipi di ieri non possono più avere efficacia oggi, e saranno di sicuro disperatamente obsoleti domani.
Albert Einstein
Riflettere sugli stereotipi e cercare di superarli nella costruzione dei propri personaggi significa impegnarsi per migliorare tout court la propria scrittura.
Anziché pigolare lamentazioni contro il “politicamente corretto” rivendicando il discutibile diritto di offendere, proviamo a prenderla come una sfida per migliorare: questo non significa che dobbiamo diventare all’improvviso femministi o ambientalisti o qualcosa che non sentiamo di essere, piuttosto narriamo le nostre idee senza prendere a prestito l’equivalente di una divisa militare ormai logora e puzzolente: lo stereotipo, appunto!
Prendiamo atto della complessità del mondo che vogliamo rappresentare, e insieme alla consapevolezza che non potremo rappresentarlo tutto e al cento per cento (i personaggi hanno anche ombre… magari ne parliamo un’altra volta!) uniamo la volontà di fare sempre un passo in più, una fatica intellettuale in più, per rompere lo stampino al quale a volte conformiamo i nostri pensieri ed esprimere qualcosa di più profondo, di più sentito, di più ragionato. Di più creativo!
[La creatività] è un certo tipo di libertà rispetto agli stereotipi e ai cliché.
Abraham Maslow
Buone scritture!