Il conflitto narrativo: prospettive inconsuete, possibilità poco note – Appunti di editing

Oggi, 2 ottobre, si celebra la Giornata internazionale della nonviolenza: la ricorrenza si presta a parlare di moltissime cose, e qui ne affronteremo una che è tra le principali per chi scrive: il conflitto narrativo!

A cura di Giulia Abbate

Possiamo dire che il conflitto è alla base della narrativa: senza un conflitto, non ci sarebbe una storia da raccontare, e questo vale per i romanzi, come per le fiabe. Persino i miti, che non sono storie come le altre, ma hanno a che fare con la sfera sacra, non si esimono dal mettere in scena tantissimi tipi di conflitto possibile.

Il conflitto: teorizzazioni moderne

Uno degli studi più noti sul conflitto narrativo è quello del drammaturgo che fonda la narratologia, ovvero George Polti: “Les 36 Situations dramatiques”. In esso, Polti raccoglie quelli che secondo lui sono i prototipi delle situazioni narrative: una summa contenente la struttura essenziale di tutte le possibili varianti.

Pochi anni dopo di lui, con “Morfologia della fiaba” Vladimir Propp parte da un corpus di fiabe tradizionali europee per stendere a sua volta alcune strutture ricorrenti, dette “funzioni”. Quello di Propp diventa un testo imprescindibile per qualsiasi teoria narrativa successiva.

Una interessante rielaborazione delle 36 situazioni di Polti la opera Palmer, che le adatta per il cinema, e lo fa negli Stati Uniti del 1919 (!). Dopo allora, ci sono state tantissime discussioni ed evoluzioni di queste interessanti teorie, che hanno di fatto dato l’avvio alla scuola dello strutturalismo, scuola che, come indica il nome, cerca di desumere dall’intero scibile delle narrazioni umane alcune ricorrenze di base e dalla quantità limitata, che sarebbero poi all’origine di qualsiasi possibile situazione, e quindi conflitto, narrativo.

Questa scuola ha oggi una nuova (ma forse non era mai passata) fortuna: fioccano i manuali che ripercorrono le formulazioni più note, a partire da Propp, e riattualizzano le varie teorie. (Ne abbiamo parlato quando consideravamo che la progettazione non è tutto. Beninteso, è certamente qualcosa!)

E tutto questo è più che mai attuale: le intelligenze artificiali generative divorano voracemente ogni possibile modello per poterlo pedissequamente riprodurre nei loro racconti, racconti che al momento hanno molto in comune con le immagini generate da IA: sono veramente brutti.

Tornando a noi, le formulazioni strutturaliste sono certamente utili e foriere di tantissimi spunti, perché frutto di un lavoro di catalogazione immenso, e di un “distillato” altamente specialistico di saperi e di forme: il nostro consiglio è quindi quello di esplorarle, magari andando alla fonte e leggendo direttamente Propp o Polti (quest’ultimo purtoppo poco reperibile) o i loro primi epigoni.

C’è anche da dire che il conflitto non è tutto, o meglio: il conflitto presente nell’intreccio non è tutto.

E inoltre, i modi per metterlo in scena e soprattutto per risolverlo sono molti, non tutti legati a un contrasto vero e proprio, e magari duro.

Andiamo con ordine.

Il conflitto nell’intreccio non è tutto.

Come abbiamo scritto nel Manuale di scrittura di fantascienza:

I principianti, e purtroppo non solo loro, tendono a attribuire alla trama un’importanza esagerata. In realtà, già dall’antichità sono noti e classificati i principali temi di conflitto che sorreggono le trame e sui quali sono stati costruiti nei secoli infiniti intrecci narrativi. (…) Se tutte le storie sono già state scritte, anche quelle future, allora l’unica sostanziale differenza tra una e l’altra è il valore aggiunto rappresentato dallo stile.

Quando progettiamo una trama, quindi, e ideiamo un conflitto, stendere il plot non basta.

Dobbiamo farci delle domande anche sullo stile letterario: con esso noi esprimiamo il conflitto, ma il conflitto stesso va a influenzare le sue caratteristiche. Questo perché, come raccomandiamo sempre ai nostri scrittori e alle nostre scrittrici, forma e contenuto non sono due cose distinte, ma parti dello stesso organismo, nel quale l’ideale sarebbe una relazione di necessità reciproca: ovvero, una storia con una certa trama che non si possa che raccontare in quel certo modo.

Torniamo al nostro conflitto, e caliamo la questione anche nello stile: chi racconta? Quale sarà il punto di vista? Che tipo di voce sarà più adatta per comunicare quell’intreccio particolare? E in che modo: con che fraseggio, e quale lessico?

Molte di queste scelte possono scaturire in modo naturale, senza forzature: l’importante è che, anche se non vuoi cambiarle e ti sembrano perfette, ci ragioni sempre in modo consapevole, scegliendole quindi con convinzione perché ne vedi chiari i motivi.

Conflitto, contrasto, guerra.

Il conflitto narrativo non è nient’altro che una diversità o incompatibilità tra due elementi. La cosa più naturale che ci viene in mente è che il conflitto riguardi due personaggi; oppure, un personaggio e il suo contesto. Ma i conflitti possono essere di moltissimi tipi, come ho scritto anche in un articolo dedicato a “Utopia e conflitto”, sul portale Solarpunk Italia.

Ecco qualche esempio di conflitti narrativi di varia natura:

  • una storia d’amore travagliata o contrastata da qualcosa; è il caso di “Solstizio” di Franco Ricciardiello, nel quale il viaggio della protagonista in bicicletta, in un mondo assolutamente pacifico e solarpunk, è il modo per ripercorrere il suo amore tramite flashback e per creare aspettativa: cosa succederà quando i due innamorati si incontreranno di nuovo?
  • Un qualche tipo di indagine: l’utopia non prevede l’assenza di delitti, ma magari ha una diversa concezione dell’idea di “crimine”, come nel racconto “La prima legge” di Davide Del Popolo Riolo.
  • Un’aspettativa: il breve racconto “La semina” di Serena Barbacetto è tutto incentrato su un progetto del protagonista adolescente, che silenzioso e ostinato “costruisce la sua impresa” nonostante gli impedimenti;
  • Un mistero, che non deve riguardare per forza un crimine o uno scenario noir, ma può riferirsi anche al worldbuilding stesso: si segue il personaggio in una vicenda e nel frattempo si svela gradualmente la natura del mondo in cui si trova, usando in modo ponderato la reticenza narrativa. È il caso del racconto “L’ultima chance” di Silvia Treves, narratrice raffinatissima, che conducendoci per mano nel dipanarsi di un dilemma riesce a costruire gradualmente il mondo futuro: lo svelamento del contesto vale da solo la lettura.
  • Un incidente o problema concreto contingente: in “Nina e l’uragano” di Ana Rüsche, un’altra giovane protagonista si trova a fronteggiare un uragano in un momento in cui è in difficoltà, e non può pagarsi le necessarie protezioni tecnologiche.

Questa sottigliezza può servire anche in presenza di un conflitto principale gigantesco; possiamo cioè ragionare su altri possibili conflitti minori (che magari già ci sono, solo che non ci abbiamo fatto caso) e cesellare la nostra storia in modo più accorto e raffinato.

Oppure, possiamo ridimensionare un quanche tipo di contrasto, superando il massimalismo del principiante e andando un po’ più a fondo: anche un conflitto “semplice” o apparentemente minore può essere esplorato attraverso una bella storia, con grande soddisfazione di chi legge.

Risoluzione del conflitto

Questo è secondo me un aspetto meno esplorato nei manuali di scrittura e negli approfondimenti vari. Si mette tanta energia e tanta cura nella costruzione del conflitto, procedendo poi verso una sua risoluzione che quasi sempre implica uno scontro: scontro tra volontà, tra personaggi, tra gruppi, tra mondi!

Ma non deve essere necessariamente così.

La credenza che ogni conflitto debba culminare necessariamente in uno sconto (il momento della verità, il climax che secondo qualsiasi editor non può mancare in una storia!) è a mio avviso un limite prettamente culturale che noi abbiamo: noi occidentali, dico, formatici sul “viaggio dell’eroe” di campbelliana memoria e, risalendo anche a Propp e alle antiche fiabe, su un modello di forza “cavalleresca” che influenza anche la nostra concezione di valore, coraggio, persino quella di pace.

Per uscire da questa prospettiva, usciamo dai nostri confini, e rivolgiamoci alle narrazioni di altre aree geografiche. A quelle orientali, ad esempio, dove la risoluzione dei conflitti non è spesso affidata al cozzo degli scudi, ma allo stratagemma, alla parola, a un qualcosa di più grande che trascina i personaggi con sé.

Sono molte le opere (non solo letterarie: penso ad alcuni film di Miyazaki, come Il mio amico Totoro) dove non c’è un vero culmine né un climax per arrivarci, ma una serie di situazioni che nella loro evoluzione e progressione di senso (a volte anche apparentemente poco consequenziale: per noi!) svolgono l’intreccio in modo totalmente diverso da quello a cui siamo abituati. Il risultato è quel senso di “esotico” che tali opere ci risvegliano, la sensazione di goderne esteticamente senza aver capito proprio tutto.

Focalizziamoci su questa domanda, ovvero “qual è il conflitto e in che modo viene risolto?” e ci si aprirà un nuovo livello di “degustazione” di queste storie, oltre naturalmente a una prospettiva più ampia e ricca quando andremo a scrivere le nostre, di storie!

Ecco perché mi è venuto in mente il tema del conflitto proprio nel giorno della nonviolenza: perché entrambi i concetti contengono un nucleo di senso del tutto controintuitivo.

Come la nonviolenza è una forza incredibile, ben diversa dalla mollezza che le si attribuisce, così anche il conflitto può essere qualcosa di molto diverso da una guerra.

In ogni caso, ricorda: se per la tua storia hai bisogno di un lavoro più mirato e puntuale… c’è Studio83!
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