Opinioni sul self-publishing
Durante la presentazione de I Ritornanti c’è stato un momento di “tavola rotonda” tra pubblico e relatori nel quale sono state poste svariate domande sulla questione del self-publishing.
Abbiamo già detto in passato che la definizione “self-publishing” non è la migliore, perché ha un carattere autoreferenziale e richiama il semplice gesto dell’autore di pubblicare se stesso. In realtà, il termine corretto è indie-publishing, pubblicazione indipendente, un processo del quale l’autore è il motore principale, ma nel quale intervengono diverse figure che portano il proprio know how professionale al servizio del prodotto. Ciò che viene a mancare è l’intermediazione dell’editore, qui sostituito in toto dall’autore, anche nel convocare e dirigere i professionisti incaricati di intervenire sul manoscritto per renderlo libro (editor, correttore di bozze, impaginatore, realizzatore di e-book, grafico ecc).
Abbiamo detto più volte che in Italia la questione dell’indie-publishing è iniziata in modo spinoso, presa forse nella prospettiva sbagliata da tantissimi autori che hanno bruciato le tappe e si sono limitati a caricare on-line manoscritti senza alcuna revisione. Il profluvio di opere ancora immature ha immediatamente messo in cattiva luce l’intero comparto e convinto lettori e operatori del settore che l’idea stessa dell’autopubblicazione fosse sbagliata.
In verità non è e non deve essere necessariamente così, lo abbiamo detto più volte, ribadendo la nostra posizione in merito; in altri contesti, come quello anglosassone, l’indie-publishing si è rivelato un nuovo orizzonte, ha dato voce ad autori che per una ragione o per l’altra preferivano essere imprenditori di loro stessi che affidarsi a una casa editrice.
Ogni tanto cerco in rete interviste ed esperienze di autori americani o britannici che raccontano il loro percorso con il self publishing, perché mi piace osservare un mercato e un contesto diverso, più ottimista e orientato alla professionalità. (In Italia l’argomento dell’indie-publishing è troppo spesso accompagnato da derisione e scarsa stima, atteggiamento che credo non giovi a nulla).
Oggi ho scovato il sito di una piattaforma che, oltre a offrire consigli e servizi per gli aspiranti indie-writers, ne ha intervistati molti per farli parlare della loro esperienza con una pubblicazione indipendente. Le interviste sono in lingua inglese, ma ci sono alcuni passaggi che vorrei tradurre e citare perché portano un punto di vista interessante sulla questione.
“Ho iniziato autopubblicando alcuni vecchi titoli che originariamente erano stati editi in via tradizionale – in ogni caso, i diritti erano tornati a me. Quando sono entrata nel self-publishing mi sono innamorata dell’intero processo. Mi piace avere in mano la mia carriera e poter tirare fuori libri con più frequenza. Mi piace stabilire i miei prezzi, disegnare le mie copertine e scrivere quello che i lettori vogliono leggere. […] In tre anni ho venduto più di tre milioni di e-book! È stato davvero stancante ma meraviglioso.”
In questa esperienza, a mio avviso, ci sono alcuni elementi importanti: il desiderio di gestire in modo personale la pubblicazione dei propri libri, sia in termini di tempi (bypassando quindi le attese del mondo editoriale) che di quantità (piazzare tanti libri presso uno o più editori richiede a sua volta tempo). C’è poi un commento indicativo: l’autrice definisce il lavoro “exhausting”, molto stancante. Perché di un lavoro si tratta, lo stesso che farebbe l’editore, ma tutto in mano nostra. Quindi, per ottenere una resa in termini di vendite e lettori occorre prima un investimento, da parte dell’autore, in termini di lavoro, tempo, energie e anche denaro.
Altro autore:
“Quando ho scritto il mio primo romanzo […] due editori mi hanno chiesto un invio parziale e poi l’opera integrale. Mi sono stati offerti un piccolo anticipo e un contratto tradizionale, il che significava che qualcun altro avrebbe pagato la stampa, l’editing, la grafica, la promozione e tutto il resto. Ero sicuro che non avrei avuto altre offerte e mi piaceva l’editore con cui ero in contatto, quindi ho accettato. Ho imparato molto dall’esperienza, ma soprattutto ho capito che gli strumenti necessari alla pubblicazione erano accessibili a tutti.”
Alla domanda “perché hai deciso di autopubblicarti”, un altro ancora risponde così:
“Perché far arrivare il libro giusto nelle mani dell’editore giusto al momento giusto non è facile.”
Prosegue successivamente, dando consigli a chi vuole intraprendere questa strada editoriale:
“Preparatevi a essere infaticabili promotori di voi stessi, il che non è sempre facile o divertente, ma è tremendamente importante. Voglio certamente consigliare agli autori che vogliono autopubblicarsi – se possono permetterselo – di assumere un grafico per la copertina e, ugualmente importante, un editor professionista. Non importa quante volte leggeremo il vostro manoscritto, ci sono cose che ci sfuggiranno perché l’abbiamo scritto noi, e cose che nemmeno sappiamo di dover cercare. […] Sono soldi ben spesi.”
Queste sono tutte esperienze positive di autori che, attraverso l’indie-publishing, sono riusciti a raggiungere un pubblico e a vendere moltissime copie (soprattutto in e-book). Naturalmente non tutte le pubblicazioni hanno un destino dorato, ma ciò che abbiamo tratto da queste interviste è che a fare la differenza, spesso, è il modo in cui l’autore affronta il percorso, sporcandosi le mani, lavorando sodo, investendo sulla promozione e sul confezionamento del prodotto-libro. Tutti questi autori di successo hanno affrontato il processo di autopubblicazione in un’ottica professionale, e questo conta moltissimo.
Dal punto di vista delle vendite, gli autori in lingua inglese sono avvantaggiati dalla vastità del mercato a cui possono rivolgersi; questo però, invece di scoraggiare gli scrittori italiani, potrebbe aprire un ulteriore orizzonte, quello delle traduzioni e del rivolgersi al mercato estero. Il bello del web è che possiamo metterci alla ricerca degli strumenti di cui abbiamo bisogno (traduttore, grafico, editor), comparare opinioni ed esperienze, capire bene i meccanismi e il funzionamento di un processo prima di immergercisi dentro.
Perché sono importanti le esperienze degli altri?
Perché guardare a chi ha avuto successo, comprendere cosa ha fatto di diverso rispetto a chi ha fallito, è il miglior modo per ricavare una miniera di consigli utili e concreti da mettere subito in pratica.