Come si scrive per il teatro – i consigli di Chiara Bertazzoni
Quest’oggi ospitiamo volentieri una nostra collega e amica: Chiara Bertazzoni, scrittrice, regista teatrale, capocompagnia di “I Senza Rete” e anima dell’associazione Youmani ODV, Le abbiamo chiesto di parlarci di scrittura, con una prospettiva un po’ diversa da quella che solitamente ospitiamo su queste pagine: la scrittura teatrale.
Scrivere un testo per il teatro è molto diverso dallo scrivere un testo, romanzo o racconto che sia, destinato alla lettura silenziosa e personale.
Lasciamo la parola a Chiara, che ci spiega perché.
“Per scrivere per il teatro bisogna partire da un presupposto importante. Un testo sarà veramente completo solo quando un regista lo prenderà in mano e darà il via a un nuovo processo creativo che porterà il testo a prendere vita su un palco.
Perciò quando scrivete non pensate alla regia, quello non è il compito di un drammaturgo. È normale avere in mente tutto: come deve essere la scena, come dovrebbero agire i personaggi, come sono vestiti… ma bisogna lasciare spazio al regista perché faccia il suo lavoro.
Sono due gli elementi su cui, invece, dovete concentrare l’attenzione: l’azione e la parola.
Azione: Un testo che viene scritto per il teatro deve essere teatrale. Sembra banale, ma non è così scontato.
La scrittura deve mirare a far evolvere e a far andare avanti l’azione scenica, attraverso “conflitti” che si creano tra i personaggi. Ognuno, in ogni scena, deve avere un obiettivo da portare avanti. Il raggiungimento di un obiettivo da parte di uno o più personaggi porta a mutare gli obiettivi seguenti e a far evolvere la trama.
Niente va raccontato, tutto va agito.
Parola: i dialoghi sono l’unico strumento con cui il drammaturgo può esprimersi e che gli permettono di far accadere gli eventi. Proprio per questo le parole devono essere quelle giuste. Ancora più che in un testo narrativo. Perchè devono essere pronunciate in scena e devono essere credibili.
Come parla un personaggio? Dovete interrogarvi a lungo sul “logos” di ciascuno, per trovare il suo modo di espressione, per fare in modo che le parole che usa siano vere, reali e quindi che un attore possa interpretarle in modo naturale.
Prendo come esempio lo spettacolo Frammenti Passeggeri, che è stato più volte in scena al Teatro Libero di Milano e in altre sale. Nasce proprio da un gioco drammaturgico: sei autori hanno deciso di condividere una storia comune per dare vita a otto personaggi diversi.
Ore 1.00 del mattino; è sabato 14 febbraio 2015. L’aeroporto di Parigi è chiuso. È stata rubata la Gioconda. Nessun volo può arrivare, nessun volo può partire. I cellulari non funzionano, o prendono molto poco, quindi è difficile comunicare. Anche le informazioni che trapelano sono confuse e sommarie…
Cosa succede quando ci si trova imprigionati in una situazione che non si ha il potere di cambiare? Un momento sospeso in cui le urgenze, i pensieri, le anime si fermano e si svestono, in un’attesa che costringe a piccoli frammenti di umanità? Otto personaggi, otto storie, otto parentesi che si aprono in attesa di un aereo che forse partirà…
La scrittura per il teatro, dunque, si concentra sui dialoghi che devono far progredire l’azione e devono cambiare qualcosa: il personaggio non è più lo stesso, dopo aver pronunciato ogni sua battuta!
Questa essenziale “azione della parola” può servirci anche nella prosa: troppo spesso leggo interi blocchi di dialoghi fatti di convenevoli, in questo stile (invento):
Entrò nello studio.
“Come sta, dottore?”
“Bene grazie, e lei?”
“Eh, insomma.”
“S’accomodi, mi racconti tutto.”
“Va bene.” Si sedette.
E così via! La scrittura teatrale invece ci ricorda che i dialoghi sono uno stumento essenziale della narrazione e molto spesso il fulcro dell’azione.”
Grazie, Chiara, grazie Youmani! E buone scritture a tutti e tutte!