Consigli di scrittura: rispetto contro stereotipo
In questi ultimi giorni furoreggia una polemica legata alle rivolte di piazza del #blacklivesmatter, partite da Minneapolis e dal barbaro omicidio a sangue freddo che un poliziotto Derek Chauvin ha commesso ai danni di George Floyd, cittadino afroamericano.
Molt* manifestanti, in città di tutto il mondo, hanno buttato giù statue che celebravano schiavisti e colonizzatori (compresa la statua di Cristoforo Colombo). Qui in Italia, si dibatte sulla statua celebrativa di Indro Montanelli, giornalista che si vantò più volte, fino agli anni ’80, di aver comprato durante la guerra d’Etiopia una “moglie” di 12 anni.
La discussione riguarda anche opere dell’ingegno, come libri e film.
Poco tempo fa, con la morte di Harold Bloom, tornò in auge lo scontro sul canone, che il critico aveva ristretto a poche opere di autori maschi occidentali.
E in questi ultimi giorni la piattaforma HBO ha ritirato momentaneamente il film “Via col vento”, riservandosi di riproporlo con un disclaimer che ne indichi i contenuti razzisti.
(A difesa del film, molti citano il fatto che Hattie McDaniel, l’attrice che interpretava la schiava nutrice Mami, fu la prima afroamericana a vincere un Oscar. Non ci sembra sorprendente che l’intepretazione di uno stereotipo razzista sia premiata dalla società che lo propugna, aggiungiamo solo che proprio a causa della discriminazione razziale ad Hattie McDaniel fu impedito di recarsi a ritirare il premio).
Tutto questo scatena polemiche e scontri furiosi, sia sui social, che sui blog e nei confronti più vari, tra chi considera giusto e necessario questo movimento di revisione da parte di minoranze che rifiutano di essere stereotipate, chi grida alla censura, al revisionismo storico, al “e allora Caravaggio?”, o chi, civilmente e con argomenti solidi, si chiede se non sia il caso piuttosto di guardare avanti, ricontestualizzando in altri modi un passato doloroso e imbarazzante.
Noi di Studio83 abbiamo un’opinione precisa, che non riportiamo qui integralmente: ci limitiamo a parlare come sempre di ciò che conosciamo bene, ovvero della scrittura e della narrativa.
Più volte su queste pagine abbiamo parlato di stereotipi, di scritture rispettose e di quella che oggi viene definita “sensitivity“, ovvero l’attenzione a tutte le soggettività e all’esistenza dell’Altro, che non è più uno sfondo, o mera carne da cannone con l’anello al naso, ma forma di vita dignitosa e complessa quanto quella del punto di vista “principale” scelto, e come tale va trattata.
La complessità e la cura partono dalla creazione del o della protagonista, per forza di cose.
Iniziamo col dire che, per essere efficace, un/una protagonista deve essere tridimensionale e reale, dotato/a della complessità che vediamo attorno a noi nel mondo.
Dal post Protagonisti e protagoniste: costruirli in modo efficace
Se non facciamo attenzione a questo aspetto, rischiamo di generare un personaggio cliché, o una macchietta, o comunque carente e quindi non memorabile.
Ma TUTTI i personaggi sono importanti. Ne abbiamo parlato in un post con consigli mirati: alla caratterizzazione di personaggi immaginari e di personaggi storicamente esistiti, all’azione che possono intraprendere e a loro caratteristiche fisiche.
L’aspetto fisico è quello più a rischio di stereotipi o comunque di banalità, che dovremo evitare con cura. Esempi comuni? Scienziate super sexy con l’aspetto di pin-up, investigatori identici a Humphrey Bogart, antagonisti necessariamente bruttissimi o bellissimi.
Dal post Costruire personaggi credibili
I personaggi sono il “tasto dolente” dove si scarica lo stereotipo e i nostri bias anche inconsapevoli. Ma non sono l’unico aspetto da curare per evitare banalità offensive verso persone e caratteristiche diverse dalle nostre.
In un piccolo speciale di tre puntate abbiamo affrontato l’argomento dei luoghi comuni (o tòpoi letterari), che a volte scadono in cliché, i quali a loro volta scadono ulteriormente negli stereotipi, la forma più odiosa di pigrizia letteraria.
- Tòpoi letterari, luoghi comuni, cliché, stereotipi. Cosa sono? – I Parte: il tòpos
- Tòpoi letterari, luoghi comuni, cliché, stereotipi. Cosa sono? – II Parte: il cliché
- Tòpoi letterari, luoghi comuni, cliché, stereotipi. Cosa sono? – III Parte: lo stereotipo
Stereotipo: la parola è usata per indicare delle schematizzazioni concettuali che banalizzano dei concetti o delle persone, e spesso si rivelano svilenti, quando non offensivi, nei confronti degli oggetti di tale semplificazione.
Dal post Tòpoi letterari, luoghi comuni, cliché, stereotipi. Cosa sono? – III Parte: lo stereotipo
Spesso, in virtù della semplificazione e quindi della relativa facilità di elaborazione, gli stereotipi si ripetono e diventano endemici, andando a sostituire l’idea di complessità, necessaria a qualsiasi elaborazione, con un’immagine piatta e monodimensionale davvero penalizzante.
Spesso inoltre lo stereotipo è inconsapevole, ed è quindi ancora più infido: perché nella scrittura noi non ci accorgiamo di averlo, mentre chi legge molto spesso sì.
A questo punto i casi sono due. Se va bene, il nostro romanzo o racconto riceverà la critica di essere scontato, impersonale e strasentito. Se va meno bene, chi legge si sentirà colpito da uno stereotipo e ne verrà conseguentemente offeso.
A questo punto è il caso di precisare che bisogna evitare gli stereotipi non solo per evitare di offendere persone diverse dalle nostre.
Lo stereotipo e la banalizzazione nuocciono gravemente alla buona scrittura, e un testo che ne contiene è un testo mal scritto, inefficace, che non dispiega al suo meglio ciò che potrebbe dare con un po’ di cura in più.
Lo abbiamo scritto anche nel “Manuale di scrittura di fantascienza” (Giulia Abbate e Franco Ricciardiello, Odoya, 2019):
Anche nel caso dei temi più caldi non si tratta “solo” di affrontare questioni etiche, rispondendo in modo libero e personale a una vocazione insita nella fantascienza. Si tratta di scrivere bene, di creare personaggi vivi e credibili, e di dare a chi legge storie belle, ben fatte, che lasceranno il segno nel tempo, e susciteranno credito, fiducia ed emozioni vere.
Dal Manuale di scrittura di fantascienza, Odoya
Una forma di stereotipo sulla quale ci siamo concentrate è quella relativa alla rappresentazione dello stupro e della violenza sessuale.
Si tratta dello stereotipo forse più pervasivo e invisibile, perché siamo tutt* talmente immersi in una cultura che svilisce il femminile da non vedere quasi più questo svilimento, considerandolo normale o “parte delle cose”. Non è così.
Ne parlava diverso tempo fa una lettrice anglofona, Cate Conway, alla quale dedicammo un post già nel 2012: “Spiacente, ma lo stupro non renderà più interessante il vostro personaggio femminile.”
“Molti autori pigri pensano ancora che far affrontare ai loro personaggi femminili la violenza sessuale sia il modo più semplice per farli apparire complessi, in particolare sei si tratta di personaggi ‘tosti’.”
Dal post “Spiacente, ma lo stupro non renderà più interessante il vostro personaggio femminile.”
Poco tempo fa, abbiamo ripreso questo discorso, traducendo un intervento più articolato, apparso sul blog Mythcreants – Fantasy & Science-Fiction for storytellers, scritto da Chris Winkle e intitolato: “Six rape tropes and how to replace them“.
Ovvero: “Sei cliché sullo stupro e come rimpiazzarli”. Una serie di consigli e veri e propri “casi-studio” per analizzare gli stereotipi, capire il “bisogno narrativo” a essi sotteso e rimpiazzarli quindi con strategie di rappresentazione più rispettose e allo stesso tempo più efficaci.
A meno che la tua storia parli specificamente di violenza sessuale, faresti meglio a rimuovere ogni stupro o tentato stupro dalla tua storia.
Dal post “Sei cliché sullo stupro e come rimpiazzarli”
Questo perché tali rappresentazioni normalizzano la violenza sessuale e sono spesso dolorose da leggere per chi l’ha vissuta.
Ora esaminiamo perché lo stupro appare nelle storie, perché questi schemi sono dolorosi, e come scrittori/scrittrici possono raggiungere gli stessi obiettivi senza ricorrervi.
Non è tutto: anche qui in Italia, pochi mesi fa, c’è stata una discussione che abbiamo seguito con interesse e che si ripropone spesso sui social, in particolare in gruppi dedicati a genere romance, che più di altri rappresenta l’erotismo in molti modi diversi, spesso anche “delicati”.
Tutto prende le mosse dalla questione: come rappresentare la violenza sessuale? Si può? Si deve? Esistono modi migliori, peggiori, opportuni per farlo?
Abbiamo ospitato il parere di una scrittrice di romance e attenta lettrice e recensora, la nostra amica Delia Deliu, che ha preso posizione in modo netto e coraggioso contro lo stereotipo dello stupro.
Non saprei dire cosa mi ha fatto arrabbiare di più: il fatto che l’autrice descrive la violenza fisica come fosse la più bella esperienza sessuale che possa capitare a una donna oppure quando “il povero” stupratore soffre perché è un uomo con il cuore ferito.
Dal post Narrare la violenza sessuale, il parere di un’autrice e lettrice
(…) Tengo a dirvi il mio parere professionale visto che, come infermiera, io ho avuto a che fare con donne, vittime di stupro. E per rispetto nei confronti di queste pazienti, non posso stare zitta. Non posso!
Tutti questi argomenti da noi citati e affrontati (nei post qui linkati, ma anche su facebook, nelle tante discussioni anche belle che vengono fagocitate dal buco social) possono essere messe sotto un ombrello unico: quello della narrativa inclusiva, che si collega strettamente al sensitivity reading, ovvero a una lettura che sia sensibile alla differenza e alla rappresentazione dell’Altro.
Come ultimo spunto vi segnaliamo un bel post dal blog di Moedisia, gestito dalle due amiche scrittrici Gloria Bernareggi e Sephira Riva, molto attente alla questione della diversità (o diversity, termine inglese che oggi raccoglie le questioni legate all’inclusività): Deduzioni indiscusse e protagonisti fuori dagli schemi.
Prendendo le mosse da un breve saggio di Ursula Le Guin, le autrici fanno qualche considerazione sullo stereotipo a partire dalla visione di partenza, viziata da pregiudizi dei quali non ci accorgiamo, o che ci sembrano inoffensivi.
La premessa è un pubblico uniforme, che si identifichi completamente nel modo di pensare dell’autore; insomma, che tutti la pensino allo stesso modo e che “noi” e “tutti” siano la stessa cosa.
Dal post Deduzioni indiscusse e protagonisti fuori dagli schemi
(…) Non commettiamo l’errore di credere che queste deduzioni indiscusse siano innocue.
Se questi argomenti vi sembrano troppo impegnativi, niente paura: lo sono.
Nuove soggettività, che finora sono state tacitate anche con la violenza, oggi emergono, chiedono spazio e impongono una revisione dei nostri standard. Si tratta di una svolta storica che non è certo faccenda di un giorno.
Se poi sentite come autori e autrici di avere paura, di essere spaventati da un mondo di “polizia politica” che scruta ogni vostra singola riga alla ricerca di cose per le quali qualcuno-chissà-chi potrebbe offendersi… siatene contenti!
Significa che fate parte di quella minoranza che non si sente mai offesa quando incappa in stereotipi razzisti o sessisti, significa che non conoscete sulla vostra pelle la discriminazione, e questa per voi è già una bella notizia.
Quello che ora possiamo fare, tutti e tutte, è fare spazio al resto: aprirci all’esistenza dell’Altro, a questa realtà destabilizzante, impegnativa, impaurente e che comporta una forte assunzione di responsabilità.
E senza negare la fatica, il timore e la consistenza della nuova sfida, facciamoci carico come sempre di scrivere le nostre storie nel modo migliore possibile.
Perché, come abbiamo scritto poco sopra, non è “solo” questione di rispetto, ma anche di buona scrittura. Parola di Studio83, parlando di quello che sappiamo meglio: più una storia è complessa, attenta, accurata, multidimensionale e più è scritta bene.
Tutto qui.
Buon lavoro!