“Le signore dell’orrore” a cura di Seon Manley e Gogo Lewis – Recensione / Halloween 2022

Questo articolo è pubblicato nella cornice della rassegna collettiva di dieci giorni dedicata ad Halloween 2022.

Questa è la seconda giornata, a tema TERRORE E CINEMA: ALFRED HITCHCOCK E DAVID LYNCH

Le signore dell’orrore. Tredici racconti scelti e presentati da Seon Manley e Gogo Lewis.

Recensione a cura di Giulia Abbate

Interessante e piacevole da leggere questa raccolta di racconti dell’orrore e del soprannaturale, pubblicata per la prima volta nel 1971 con la cura di Seon Manley e Gogo Lewis, e tradotti in italiano da Lisa Morpurgo, figura particolare del fantastico italiano (ne ho parlato anche nel mio articolo su Urania di luglio, “Le donne della SF italiana”).

Morpurgo apre il testo con una Prefazione in cui presenta i racconti, in un discorso complesso e raffinato sulla narrativa dell’orrore e i suoi sviluppi. Una prefazione che è bello rileggere anche a libro terminato, per godersi appieno i rimandi e le citazioni che Morpurgo ci regala con generosità e squisita cultura.

Il titolo originale recita: Ladies of Horror – Two centuries of Supernatural Sotries by the Gentle Sex. La precisazione dei “due secoli” è nell’edizione italiana affidata allo strillo in copertina, “due secoli di occulto e soprannaturale” e fortunatamente ci viene risparmiata la chiosa sul gentil sesso.

Come immaginerete, di gentile e puccioso dentro questi racconti c’è ben poco. Allo stesso tempo è ben presente l’esperienza specificamente femminile in un mondo che il femminile lo rinchiude e lo domina; esperienza sublimata, o forse urlata a squarciagola da una voce che supplica aiuto, dallo sguardo fantastico e dall’attitudine all’orrore e al mistero oscuro.

Il testo è diviso in due parti: “L’Ottocento” e “Il Novecento”, e i racconti vengono  posti in un ordine scelto dai curatori, senza badare alla progressione alfabetica, né a quella cronologica. Ne risulta un percorso che segue alcuni fili non casuali, in parte esplicitati nelle belle introduzioni ai racconti stessi (che però io leggo sempre dopo, per non sciupare il senso di meraviglia) in parte meno intuibili, e va bene così: essendo in un genere che si basa moltissimo anche sul senso di ignoto, incertezza, attesa e mistero, una mappa troppo chiara sarebbe stata controproducente, credo.

Ecco i racconti, tutti con traduzione di Morpurgo.

L’OTTOCENTO

La creazione di un mostro (Romanzo, Frankenstein or The Modern Prometheus, 1818) di Mary Shelley.

Dare l’apertura di raccolta a un passo del “Frankenstein” di Shelley è già tutto dire, e rende atto di una prospettiva anche storica che a mio avviso impreziosisce sempre un testo. Si cita qui un passo cruciale del romanzo: la creazione della creatura da parte di Viktor, che inizia la sua discesa nella ubris partendo da lezioni di scienze naturali e anatomia, in un crescendo ossessivo in cui l’orrore non sta solo e tanto nella composizione materiale della creatura, quanto nella tremenda idea di poterlo fare. Fino alla notte fatidica in cui Viktor anima la creatura; e il passo non viene chiuso qui, ma dopo la descrizione del terribile abbandono del creatore, che scappa via lasciando il povero essere “nascere” nella più spaurente solitudine.

Il lupo mannaro (Racconto lungo, The Were-wolf, 1890) di Clemence Housman

Una storia particolare, questa, veramente inusuale: che recupera l’affascinante leggenda del lupo mannaro in una chiave diversa da quella tradizionale del centro-sud Europa. Alle nostre latitudini, il lupo mannaro è simbolo di una ferinità oscura, di una capacità sciamanica di trapasso dei mondi che però è ormai degradata e resa una maledizione al di là di ogni controllo e volontà. Housman invece mette in scena una lupa mannara, Pelliccia Bianca, che nella sua spietata algidità sembra più incarnare una forza cieca, una pulsione, da parte della natura selvaggia, a prendersi tutto ciò che le viene imprudentemente concesso. Di probabile ambientazione sassone, il racconto è occupato per più di un terzo da una folle corsa sui ghiacci, e vi aleggia l’idea di un amore fraterno mal vissuto, come in tante fiabe nordiche. Ricordo ad esempio la figura di Ceneraccio, nelle fiabe norvegesi, che proprio nei suoi fratelli ha i più acerrimi nemici; qui non è proprio così, ma c’è comunque un fratello minore che, dalla sua posizione svantaggiata, dimostra acutezza, prontezza e una devozione commoventi.

Il vento nel cespuglio di rose (Racconto, The Wind in the Rose-Bush, 1902) di Mary E. Wilkins

Torniamo ad atmosfere più tradizionali: una parente lontana, una visita inaspettata, una situazione familiare poco chiara e una casa vuota ospite di presenze sinistre, che raccontano qualcosa di indicibile. Un orrore consueto, quasi un luogo comune, che però in questo racconto ci trasmette anche una grande tristezza, e la denuncia di quanto il mondo possa essere ingiusto e crudele nei confronti di una ragazzina indifesa.

La testa della gorgone (Racconto, The Gorgon’s Head, 1899) di Gertrude Bacon

Una viaggiatrice ascolta il racconto del capitano della nave: scenario sempreverde della letteratura anglosassone moderna, che anche in questo caso ci regala suggestioni esotiche, smargiassate che finiscono male e una bella storia tra il mito, il viaggio, il mistero e la messa all’indice della stupidità colonialista. Io tifo e tiferò sempre Gorgone, se non si fosse capito.

Gli uomini di marmo (Racconto, Man-Size in Marble, 1893) di Edith Nesbit

Questa storia tra il bizzarro e il surreale non faticherebbe oggi a rientrare nella definizione (ormai abusata, ma qui a mio avviso pertinente) di weird. E qualcosa mi ha ricordato alcuni tratti del raccapricciante “Le venti giornate di Torino” di Giorgio De Maria, aumentando forse il coefficiente di pelle d’oca della lettura. Anche qui ci sono grosse statue non precisamente docili, e l’intero racconto è dominato da un senso di attesa e di disastro incombente, come in uno di quei sogni in cui ci affanniamo a fuggire da qualcosa che è sempre alle nostre calcagna, e che si avvicina di un passo in più, a ogni nostra disperata contorsione per allontanarci. Brrr!

Il visitatore di Evelina (Racconto breve, Eveline’s Visitant, 1862) di Mary Elizabeth Braddon

Una storia ambientata nel Settecento, che riprende gli aspetti malinconici e decadenti del soprannaturale francese, per mettere in scena una storia in cui il maschile si dibatte tra distruzione e protettività asfissiante, e il femminile, preso nel mezzo, ne viene semplicemente consunto. Un vampirismo senza sensualità, che soffoca e rende oggetto la donna, tentando di trovare in questo una propria identità.

La carta da parati gialla (Racconto, The Yellow Wallpaper, 1892) di Charlotte Perkins Gilman

Sarà un caso, ma questa storia di una autrice di fantascienza (mio genere preferito) mi lascia con il desiderio di rileggerla ancora e ancora, per trarne altro turbamento, altra tristezza, altre suggestioni che sono intessute come una trappola nella tappezzeria. Una donna con una sorta di depressione (forse post-puerperale) è curata dal marito e dalla famiglia, è portata fuori città, è costantemente controllata, è sedata, è tenuta lontana da ogni svago e attività del pensiero, è separata dal suo bambino piccolo. Deve “guarire”, qualsiasi cosa voglia dire, e per questo non deve “turbarsi”. Ci penserà un misterioso e cangiante disegno nascosto nella carta da parati a far saltare un po’ i piani a tutti. Il livello simbolico è profondo e molto contemporaneo, questa storia che non avrebbe affatto sfigurato nell’antologia fantafemminista “Le Visionarie” di Jeff e Ann Vandermeer (2016).

IL NOVECENTO

La mano guantata (Racconto breve, Hand in Glove, 1952) di Elizabeth Bowen

Un altro racconto strano, di orrore intessuto nel quotidiano, qui tutto al femminile. Ci sono due sorelle rampanti ma povere nella bella società della provincia, e una vecchia zia che ha molti mezzi ma non ha più le forze per difendersi. Ne risulta una storia in cui la quotidianità mondana si sovrappone a un abuso spietato e prolungato nel tempo. Ma quando ti comporti da mostro, qualcosa intorno a te reagisce di conseguenza: e la letteratura ci fornisce almeno la consolazione di un chiaro contrappasso. Il terrore legato alla mano è un tòpos che fa sempre piacere ritrovare, e che qui è ben giocato.

Riabilitazione (Racconto breve, Whitewash, 1952) di Rose Macaulay

Un gioco letterario, con un cammeo finale di un letterato contemporaneo e amico di Macaulay, che chiama in causa Capri, la fama sulfurea di Tiberio e qualcosa che oggi tradurremmo con quella buffa e fantasiosa dicitura del “politicamente corretto”. Si parla di riabilitare la fama dell’imperatore romano con opere storiche e biografiche che sfatino il mito della sua crudeltà, e intanto la protagonista sguazza intorno alla sua Villa e si trova intrappolata in una galleria sotterranea. Fantasmi fedeli al proprio mito, contro mitografie biofictionali: chi vincerà? E soprattutto, per fare il verso a Dylan Dog: qual è il vero orrore?

 Gli uccelli (Racconto, The Birds, 1952) di Daphne Du Maurier

 Sì, è proprio quel “Gli uccelli”: quello a cui Hitchcock ispirò il suo film. Qui è tutto più succinto, e per questo in grado di trasmettere un certo terrore ancestrale e spiccio. Gli uccelli sono forze della natura che decidono improvvisamente di diventare ostili, senza una ragione (ma sarà poi così?): e all’improvviso l’essere umano si accorge di essere un animaletto qualsiasi, in barba ai suoi trattori e alle sue televisioni, e di essere spaventosamente vulnerabile. Se vi va di vederci un’allusione ai virus vi sbagliate, non sono così banale: vi suggerisco piuttosto di guardare “E venne il giorno” di Shyamalan.

 La moglie dell’albero (Racconto, The Tree’s Wife, 1950) di Mary Elizabeth Counselman

 Qualcosa in questa storia di faide, amori e vendette montanare mi ha ricordato un vecchio cartone animato, “I Testoni e i Cuticagna”, in cui due famiglie di bifolchi si prendevano a schioppettate dalle cime di due monti contigui. Bello però come la questione del fantasma vendicativo sia ribaltata in quella di un fantasma curativo e riparatore, e come lo sguardo razionale della dottoressa cittadina venga deriso con un semplice movimento di cappellino.

La bella casa (Racconto, The Lovely House, 1971) di Shirley Jackson

Shirley Jackson è sempre una garanzia di disagio: non sai mai cosa ti aspetta, con lei, non sai mai dove e come ti colpirà e in quale notte ti sveglierai all’improvviso con la tremarella, ricordando una sua scena a tradimento. Questa storia onirica e psicotica aggiorna la figura della casa “stregata”, portandoci per mano in una spirale di follia e malattia affettiva, dove il tema del doppio furoreggia, e tra le piastrelle pitturate a mano ci sono storie in cui di già scritto c’è solo il finale. Da brividi.

L’ultima seduta (Racconto breve, The Last Seance) di Agatha Christie

Questo episodio della vita di una medium, ultimo testo della parte dedicata al Novecento, mi sembra il più ottocentesco di tutti. Anche qui, l’orrore si gioca tra sentimenti familiari al femminile: la disponibilità, l’accoglienza, l’apertura; l’amore materno, l’amministrazione del lutto, la sorda e silenziosa e cieca determinazione. Ma dopotutto, per la delicata medium Simone sarà l’ultima seduta, prima del matrimonio e della felicità coniugale, e a prendersi cura di lei (e a raccontare) è appunto il suo fedele e solido promesso sposo. Cosa mai potrà andare storto?

Insomma: se vi capitasse di trovare questo volumone in un mercatino, a un bookcrossing o in biblioteca, non fatevelo scappare. È pieno di belle storie, ha una ratio nella composizione, il valore aggiunto di una ottima artista italiana… e fa parte anch’esso, quasi fantasmaticamente, di un mondo perduto: un mondo in cui gli editori avevano cura di inserire nei propri libri tutti i paratesti necessari, le note biografiche delle autrici, i titoli e le date degli originali, le note di traduzione, persino l’indice… Eccomi quindi ad aver raccontato io stessa una storia di spettri, che magari vi susciti non paura, ma un po’ di rimpianto sì.

A cura di Giulia Abbate


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