“Spettri di frontiera” di Ambrose Bierce. Recensione / Halloween 2022

Questo articolo è pubblicato nella cornice della rassegna collettiva di dieci giorni dedicata ad Halloween 2022. Per saperne di più, leggi il comunicato

dell’evento.

Questa è la quinta giornata, a tema STORIE DI SPETTRI

Recensione a cura di Alessandra Micheli

Sicuramente non sarà per voi una novità apprendere che la sottoscritta è cresciuta leggendo, da adolescente, i libri dell’orrore.

Parlo ovviamente di grandi classici, immortali testi di ogni tempo che vanno da Edgar Allan Poe a Lefanu, per cimentarsi poi con Stoker e arrivare alla meraviglia psicologica di Stevenson.

Nella mia ricerca di questo strano genere, spesso intersecato con il gotico, ho avuto il piacere di leggere ogni tipo di autore.

Persino la meravigliosa George Elliott decise di scrivere un racconto dai tratti agghiaccianti come Il Velo dissolto.

E cosa dire di Stevenson con Janet la Storta?

 O del mio mito Gustav Meyrink, o persino di un Salgari che, lasciati da parte i suoi adorati corsari, si inerpicò lungo la strana montagna del vampirismo.

E cosi abbiamo un favoloso vampiro della foresta, che non cede affatto alle lusinghe dei cupi manieri irlandesi o inglesi e si ambienta in un Uruguay non meno misterioso, non meno irto di ignoto.

Potrei continuare citandovi altri regali nomi della letteratura che hanno deciso di dare un occhiata all’abisso, incuranti del pericolo di farsi, a loro volta, fagocitare da esso rimanendone inesorabilmente avvinti.

Ma in fondo noi italiani, cosi come ogni europeo che si rispetti, abbiamo nel DNA i riti ancestrali dei nostri antenati, immersi in un mondo numinoso a tratti idilliaco e a tratti inquietante, con le suggestioni provocate da azioni benevole per chi non lede il patto tra la società proba e tra i piccolo popolo, rischiando di incrinarne l’equilibrio come narrerà Tim Curran nel suo orrorifico “That Olde Christmas Spirit”.

Nessuno, neanche i più disincantati autori si lascia scappare l’occasione di una scappata nelle regioni più remote dell’ignoto, neanche quello che sembra più dedito al lato più razionale dell’essere.

E neanche la tanto amata/odiata America sfugge al fascino del racconto spaventoso, neanche gli Usa tutto calcolo e raziocinio o, come direbbe un perfetto Robert De Niro, solo chiacchiere e distintivo.

In America, le suggestioni e le tradizioni verso il popolo della notte sono molteplici e hanno assunto uno strano colore, non più nero come l’oscurità, ma brunito come la terra da cui essi sorgono.

Perché la meraviglia dei fantasmi americani è il suo essere un alter ego dell’uomo stesso, fonte e genesi di ogni male e di ogni perversione. Se i racconti europei soffrono della presenza di un rigido cordone ombelicale con i loro antenati celti o norreni, in rameica essi si fondono con ansie più reali.

L’orrore viene dalle regioni impervie, dalle praterie usate dall’uomo bianco ma “possedute” dai nativi.

Viene dalle guerre combattute in nome dell’ideale dell’eguaglianza ma uccise della brutalità della violenza.

Viene dalle città che nella loro corsa verso una propria identità staccata dal paese di origine, in realtà perdono se stessi.

Sono le vittime di una società che si barcamena tra puritanesimo e volontà di innovazione, svincolata dalle pastoie della superstizione religiosa.

Arrivano da chi emigra con tanti sogni, che però deve per forza barattare per la sopravvivenza del corpo.

Emblema di questo strano mondo, spesso deriso dalla satirica penna di Oscar Wilde (basti pensare al Fantasma di Canterville) è senza dubbio il maestro Ambrose Bierce.

Nei suoi libri ritroviamo un uomo che, non meno del suo compare Oscar, tratteggia in modo crudo i vizi e le virtù del suo paese, e anche un fertile e incredibile narratore di fantasmi, di orrori, di ossessioni che, in fondo, appartengono a tutti noi.

Bierce è il guru riconosciuto della narrazione orrorifica e senza dubbio delle ghost stories.

A lui devono tutto autori come Lovecraft o Robert Block.

Bierce influenza ognuno di voi, miei giovani autori che scrivete di abitazioni stregate, di orrori nascosti in cantina, di persone scomparse, di peccati da scontare.

Dovete a voi quella strana sensazione di malessere che vi invade osservando una casa diroccata, o osservando un signore con lo sguardo perso nel vuoto alla ricerca di chissà quali oscure visioni.

Ogni volta che raccontate un omicidio familiare.

Ogni volta che qualcosa passa veloce e si rannicchia nei meandri della vostra mente costringendovi a scrivere.

Bierce stesso non si limitò affatto all’ars letteraria, egli fece volente o nolente, della sua vita stessa un arcano mistero, tanto che ancora oggi non si sa bene la sua fine.

Scomparve misteriosamente in Messico per aiutare la rivoluzione assurda di Pancho Villa.

Una satira resa leggenda.

Una penna che non colorò di grigi ambigui solo i suoi meravigliosi racconti ma la realtà stessa, concreta e rassicurante che in omaggio a un grande autore, si inchinò cambiando un vestto per rendere il suo animo eterno.

Ecco che dopo i meravigliosi racconti d’oltretomba abbiamo una raccolta ancor più interessante, ammaliante ancor più oscura e al tempo stesso venata di quell’ironica pungente che lo resa un critico sociale immortale.

Spettri di frontiera racconta la sua stessa visione della vita, una vita sospesa in cui la morte non è altro che un compimento a metà.

Persi nella realtà tangibile, frustrati dalla loro impossibilità a realizzarsi appieno come soggetti, i fantasmi di Bierce restano sospesi cosi come sospesi erano nella vita.

Non si sa dove vanno.

Rimangono lì a memento di drammi e di peccati inconfessabili, resi più spaventosi anche da una mancanza di vendetta.

Basta solo vederli, avvertire la loro mefitica presenza per impedire all’uomo che riesca a contattarli mentalmente perché partecipe della medesima loro angoscia, per esserne divorati.

Ma il fantasma non agisce,  è immobile, lungi dall’avere una propria coscienza, seppur modificata o peggio deformata, cosi come i fantasmi inglesi o irlandesi, spesso costretti a divenire loro stessi nemesi del peccatore.

Bierce li rende immobili.

Presenti ma fermi.

Il loro non è un vagare ma un rassegnarsi all’invisibilità.

E’ questo che ci fa orrore. Gli spettri di frontiera restano sulla loro linea Maginot, laddove erano in vita.

Non ricordano, sono solo condannati a ripetere gli stessi metodici gesti o lo stesso assurdo racconto di una fine tragicomica, grottesca a priva di senso.

La lucida e forse pessimistica visione di Bierce li rende non più romantici e affascinanti. Ma patetici e terrificanti per l’orrore che portano con sé: la coscienza che la vita è solo una burla, inventata da un buffone di corte.

Ecco che i suoi spettri lasciati li, in quel mondo a metà, non verso i paradiso ne verso l’Ade, restano a guarda i frammenti di un esistenza che poteva essere, ma che per ignavia o vigliaccheria non sarà mai. Neanche di fronte all’estremo ultimo viaggio.


Per saperne di più sull’iniziativa, leggi il comunicato dell’evento.

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