“La bianca e l’eremita” di Siria Selva: dall’editing al Premio Odissea Romantica, con una storia dalla struttura narrativa non occidentale / Dicono di noi
La scorsa primavera è uscito “La bianca e l’eremita”, romance storico di Siria Selva, che è all’esordio… con questo pseudonimo, in realtà è autrice che pubblica da diverso tempo.
Se una giovane sola al mondo viene venduta a un gruppo di trafficanti, il suo avvenire è segnato. Invece, Ren ha un’occasione da prendere al volo, quando un sicario stermina i suoi rapitori. Si chiama Tesshu, anche lui è solo e pronto ad afferrare qualsiasi opportunità: la vendita di Ren gli frutterà il denaro necessario a lasciarsi alle spalle la vita di strada. Ma Ren non si rassegna, e ricorrerà a intelligenza, seduzione e saperi ancestrali, per costruire un nuovo destino per entrambi.
Una storia di violenza, forza femminile e liberazione, sullo sfondo del Giappone dell’era Tokugawa.
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L’autrice, come già detto, scrive sotto pseudonimo. La bio: “Scrittrice appassionata di storia, religioni, esoterismo, farmacopea, Siria Selva è un’ombra, e continuerà a esserlo”.
Per noi oggi ha fatto una piccola eccezione: non si svela (né le chiederemmo di farlo), ma risponde a un paio di domande sul suo romanzo e sul lavoro svolto insieme.
Come sei arrivata alla pubblicazione?
La prima versione del romanzo breve risale a ben vent’anni fa. Un paio di anni fa, l’ho ripresa e l’ho inviata a Studio83 per una valutazione, che mi è stata preziosa per trarre dai personaggi e dall’intreccio molti elementi che prima erano presenti solo sottotraccia, e che il lavoro con Giulia Abbate ha valorizzato.
Il romanzo è stato anche arricchito dalla consulenza storica di Massimo Soumarè, a cui sono arrivata sempre tramite Studio83. Poi Giulia mi ha segnalato il concorso di Delos Digital, invitandomi a mettere alla prova la mia storia: nonostante non si sia classificata tra le vincitrici, è stata comunque notata dalle giurate e in seguito selezionata per la pubblicazione.
Grazie quindi a Studio83 per il prezioso lavoro e anche per avermi indirizzata verso un canale serio e la concretezza di un’uscita.
“La bianca e l’eremita” è uscito infatti nella collana Passioni Romantiche di Delos Digital, dedicata ai racconti romance e rosa e curata da Ada Capobianco: l’autrice è stata selezionata in seguito al concorso Odissea Romantica, dedicato proprio a questo tipo di testi.
Come diciamo spesso, partecipare a un concorso letterario è utile in senso ampio: in fondo, gli editori cercano buone storie, quindi ha sempre senso tentare, puntando a proporre un testo forte e ben scritto.
Il romanzo di Siria Selva è una storia di contrasti, sul filo del dramma e della violenza, in un contesto brutale, che chi abbia letto romanzi o manga ambientati nel Giappone feudale sicuramente riconoscerà.
Questa ambientazione è anche una nostra grande passione, quindi non è stato difficile lavorare sulla storia e lasciarla poi nelle mani del professionista giusto: parliamo di Massimo Soumarè, grandissimo esperto di Giappone, a cui abbiamo indirizzato Siria per una consulenza finale sull’ambientazione.
Perché un libro (e anche questo lo abbiamo sempre detto) è frutto del lavoro di diverse persone! Editor, redattrici, editore, consulenti… la storia la crea una persona, ma l’uscita la realizzano in tante altre.
Sentiamo cosa ci racconta Siria Selva:
Quando ho scritto la prima versione del romanzo, ero una ragazzina appassionata di storia e di suggestioni giapponesi. Così, ho buttato sulla carta la classica storia della “damsel in distress”. Quando l’ho ripresa, mi sono accorta che non mi ci trovavo più, e che entrambi i personaggi, la fanciulla salvata dal bruto e il bruto dal cuore pronto a cedere, potevano e dovevano crescere a loro volta.
Così, ho instillato tra le righe questa evoluzione: una ragazza piena di risorse e con una forza nascosta nel mistero delle sue origini, e un sicario dal cuore anarchico, che usa la violenza ma la odia, e accetta di cedere il suo potere, perché non lega a esso il proprio valore.
Questa evoluzione del racconto è stata molto bella, per me, emozionante.Il lavoro con Studio83 è stato prezioso anche per individuare, oltre alle potenzialità dei protagonisti “cresciuti”, una peculiarità della storia, che avevo creato in modo instintivo, senza troppa programmazione, ma che corrisponde a un sentire non occidentale: probabilmente ero così “drogata” di manga da imitare quelle storie, e portare questo aspetto a livello consapevole mi è piaciuto molto, mi ha permesso di credere di più nella mia storia e di crescere.
Parliamo qui di strutture narrative: “La bianca e l’eremita” ha la particolarità di un intreccio strutturato secondo uno schema non occidentale, bensì giapponese.
La storia procede seguendo il classico kinshotenketsu, ovvero una successione di quattro momenti: un momento iniziale, un secondo momento che sviluppa le premesse del primo, poi una terza fase che introduce elementi diversi e inaspettati e una quarta fase che “unisce” il tutto, creando una sinergia tra i primi due momenti e il terzo, e uscendone con una sintesi finale.
Si tratta, come potete vedere, di uno schema diverso dai classici “tre scene” o “cinque scene” mutuati da Aristotele e da Shakespeare, che in generale sono usati come base per la narratologia occidentale e a volte, erroneamente, sono ritenuti gli unici modi giusti di raccontare.
Non è affatto così. A culture diverse corrispondono modalità di racconto diverse. Se non sappiamo questo può capitarci di non apprezzare o non capire affatto una storia che ci arriva da lontano, o considerarla bizzarra, o raccontata male. Molto spesso questa sensazione non riguarda la storia in sé, ma è causata piuttosto dal divario culturale e dalla scarsa familiarità con racconti e storie che non siano “nostri”, ovvero strutturati nel modo in cui siamo abituati, nel modo in cui le scuole ci insegnano, nel modo in cui la nostra cultura mette insieme le idee e i ragionamenti.
Lo sapete, ad esempio, che non sempre è necessaria una evoluzione del protagonista?
Il cosiddetto “arco di trasformazione” è un elemento della nostra narrativa, ma in altre il protagonista si connota come tale perché assolve a una funzione, e durante la storia deve riuscire a confermare questo ruolo, a portare a compimento la sua funzione, non certo cambiando natura o carattere, ma anzi confermandosi quello che è.
E lo sapete, altro esempio, che diversi momenti di una storia possono essere diversissimi tra loro, poco armonizzati, magari con scenari e personaggi del tutto separati?
Questo può avvenire nelle storie che hanno una cornice narrativa, che accomuna tutti i vari “capitoli” e momenti in essa racchiusi, ad esempio nelle storie indiane.
In “La bianca e l’eremita” avviene qualcosa dopo la metà del racconto: un incontro inaspettato, che a un occhio occidentale (magari di qualche editor drogato di manuali di creative writing USA e di formulette pronte all’uso) potrebbe apparire un deus ex machina. Non è così, ma questo lo si può capire solo storia finita, quando si realizza una sinergia, una conclusione dal senso più alto, permessa appunto dalla fusione della prima metà del romanzo con il terzo momento diverso. It’s kinshotenketsu, baby!
Il fatto che Siria abbia adottato questo modo di raccontare in modo istintivo, dopo un’immersione nei manga, dimostra anche che si possono imparare altre posture culturali in modo spontaneo e naturale: siamo tutte e tutti esseri umani, in fondo, e possiamo entrare in relazione in modo più semplice di quanto possa apparire a uno sguardo distante.
Leggere, studiare e capire strutture narrative di altre culture ci permette di aprirci alla meraviglia e alla scoperta di altri modi di ragionare, di raccontare e di vedere il mondo. Ci fa capire la ragione di quel senso di “strano esotismo” che a volte sentiamo, senza saperlo definire. E ci rende più umili, meno avventati nel giudicare, visto che spesso una storia non è “raccontata male”, ma solo “raccontata altrimenti” rispetto a ciò a cui siamo stati educati e abbiamo fatto l’abitudine.
La nostra insegnante di inglese (sì, nostra: abbiamo frequentato lo stesso liceo, noi due di Studio83!) diceva sempre che quando si inizia a conoscere le lingue e a capirle veramente, essere razzisti diventa impossibile.
Bè, anche esplorando i diversi modi di raccontare delle varie culture si arriva a sentire una comunanza che va oltre ogni altra considerazione, e a provare la bellissima vertigine di sentirsi e capirsi umane e umani insieme.