Scrivere poesie: le rime

Eccoci al terzo appuntamento con la rubrica “Scrivere poesie”, una serie di approfondimenti a tema su questa forma d’arte bellissima e complessa.

Oggi parliamo della rima.

Leggi anche: “Scrivere poesie – La metrica”

Il dizionario Treccani definisce la rima così:

L’identità di suono nella terminazione di due parole, dalla vocale tonica in poi, che si sente soprattutto quando le due parole sono a poca distanza l’una dall’altra nel discorso, e in partic. in poesia, quando esse sono collocate alla fine di due versi, consecutivi o vicini […]

Le rime possono essere definite attraverso schemi comuni, generalmente identificati con delle lettere.

La rima più famosa è quella baciata, in cui ogni fa rima con quello successivo, generalmente a coppie (schema AABB).

“La befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
col cappello alla romana
viva viva la Befana.”

Se invece le rime si alternano, parliamo appunto di rima alternata (ABAB). Dal componimento “Davanti a San Guido” di Carducci:

“Oh siediti a le nostre ombre odorate
ove soffia dal mare il maestrale:
ira non ti serbiam de le sassate
tue d’una volta: oh non facean già male!”

C’è poi lo schema ABBA, che non c’entra col pop svedese ma descrive la rima incrociata. La troviamo, per esempio, in Petrarca:

Era il giorno ch’al sol si scoloraro
per la pietà del suo factore i rai,
quando i’ fui preso, et non me ne guardai,
ché i be’ vostr’occhi, donna, mi legaro.

Lo schema rimico può anche travalicare i confini di strofe e terzine, come nel caso della rima incatenata, di cui Dante è indiscusso maestro. Lo schema è ABA BCB:

Nel mezzo del cammin di nostra vita
mi ritrovai per una selva oscura,
ché la diritta via era smarrita.

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura
esta selva selvaggia e aspra e forte
che nel pensier rinova la paura!

Leggi anche: “Scrivere poesie – Le figure retoriche”

La rima non deve necessariamente trovarsi alla fine del verso: esistono schemi più o meno liberi con disposizione anomala della rima.

La rimalmezzo, per esempio, può legare la fine di un verso con una parola a metà del verso successivo. Un esempio è ne “Il passero solitario” di Leopardi:

[…] al mio loco natio
passo del viver mio la primavera.

Se la rima è all’interno di un singolo verso, si parla di rima interna. Esempio citatissimo è ne “Le lavandare” di Pascoli:

E cadenzato dalla gora viene
lo sciabordare delle lavandare […]

Nella rima ipermetra, una parola piana (che ha quindi l’accento sulla penultima sillaba) fa rima con una parola sdrucciola (che ha l’accento sulla terzultima) la cui ultima sillaba diventa parte del verso successivo. La troviamo, per esempio, in “Non chiederci la parola” di Eugenio Montale:

Ah l’uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l’ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Amico/canicola è la rima ipermetra.

Per scrivere poesie non è obbligatorio usare la rima, ma resta uno strumento affascinante che ci permette di usare suoni e significati in modo che si rinforzino a vicenda.

Hai scritto poesie in rima e vuoi un parere professionale sulla tua silloge?