“La trasfigurazione mediatica di Chiara Maffei” di Francesco Calzoni / Dicono di noi

Tra il 2020 e il 2021, abbiamo lavorato a un romanzo interessante, scritto da Francesco Calzoni, con il quale avevamo già revisionato il racconto “Il Re ha parlato”, che è uscito con Robin Edizioni e sta avendo un buon successo di critica e gradimento del pubblico, anche nelle scuole.

“La trasfigurazione mediatica di Chiara Maffei – a chi importa dell’assassino?” è un romanzo giallo, che Francesco Calzoni è riuscito a pubblicare nel 2022 con Robin Edizioni. Si tratta di un romanzo scritto prima del racconto “Il Re ha parlato”, e che secondo noi presentava già in prima stesura elementi di interesse.

Dopo quindi una prima valutazione, e la revisione dell’autore secondo i nostri consigli, abbiamo lavorato a un editing del testo. Una volta ottenuta una versione più consapevole e matura, abbiamo redatto su richiesta di Francesco una proposta editoriale professionale, con la quale l’autore ha proposto il romanzo a diverse etichette, trovando infine casa con Robin Edizioni.

Abbiamo fatto qualche domanda a Francesco Calzoni, per ripercorrere insieme a lui quanto fatto insieme, anche con lo scopo di mostrare come lavoriamo “in bottega” e quali sono i possibili percorsi che facciamo con autrici e autori completamente esordienti, come era il caso di Francesco Calzoni (il tempo passato è d’obbligo, visto che in poco tempo ha pubblicato entrambi i testi ai quali abbiamo lavorato insieme).


S83: La prima domanda riguarda i tempi: perché, se il romanzo era una stesura precedente rispetto al racconto, hai atteso un anno in più per sottoporlo al nostro giudizio?:

Francesco Calzoni: Sinceramente per insicurezza. Rispetto agli altri lavori (componimenti brevi che sono tutt’ora in fase di aggiustamento, sperando arrivino a degli standard idonei per lavorarci) e il romanzo breve “Il Re ha parlato”, sul quale abbiamo lavorato assieme e del quale abbiamo già parlato, il giallo in questione ha uno sviluppo e una lunghezza ben maggiore. Senza contare che, trattandosi appunto di una indagine, entrano in ballo altre componenti.

Un giallo ha una struttura ben precisa, delle deduzioni che posso essere fatte dai protagonisti solo se hanno in precedenza scoperto alcune cose, basta un nulla per far crollare tutto l’impianto narrativo. Strada facendo, lo scrittore deve lasciare delle briciole di pane – indizi – in modo tale che il lettore più attento sia in grado di risalire all’assassino. E visto che a me interessava principalmente scrivere un buon giallo, ma non avevo riscontri in tal senso se non gli apprezzamenti degli amici di una vita, ecco il perché del mio tentennamento.

S83: Giulia Abbate ha valutato positivamente il lavoro, tanto da proporti la partecipazione al Tedeschi.

FC: Già e qui si apre un piccolo aneddoto, che fa capire quanto a volte io sia un pochino “cialtrone.” Quando Giulia mi disse che c’era materiale per presentarlo al Tedeschi, che altro non è se non il concorso del Giallo Mondadori (con in palio un contratto con la Mondadori stessa, quindi non un premio da poco), io non sono andato immediatamente a vedere di cosa si trattava. Dopo pochi giorni, Giulia, che quando decide di seguire qualcuno lo fa veramente con un’abnegazione incredibile, mi manda una seconda mail, chiedendomi se ero andato a vedere il bando. Io le rispondo che lo avrei fatto a breve, così lei – avendo intuito che tipo di persona sono – due giorni dopo mi manda una terza mail con il link del bando e un testo che recitava semplicemente: “leggi il bando.”

E così è partita la collaborazione anche per questo romanzo, anzi si è ampliata. Perché il mio romanzo contava poco più di cento cartelle, mentre per partecipare al Tedeschi ne servivano esattamente il doppio. Ora capite bene che raddoppiare le pagine di un romanzo giallo non è la cosa più immediata del mondo, tenuto conto che, come dicevo prima, c’è una struttura che non può essere modificata più di tanto.

Fortunatamente, al momento di creare tutta la storia, avevo deciso di ambientarlo nella mia città, Perugia, e di dare al commissario più o meno la mia età. Questo mi ha permesso “semplicemente” di riempire le pagine mancanti dei miei ricordi, di Perugia stessa e così facendo ho potuto strutturare e approfondire in maniera decisa la personalità dei protagonisti, in modo da renderli più appetibili al lettore. In particolar modo, quasi senza che me ne rendessi conto, un personaggio come quello di Stefania – la migliore amica della vittima – si è trasformato da una figura poco più che marginale, in uno dei protagonisti assoluti del romanzo (non starò a dire se nel bene o nel male).

S83: Il romanzo si apre con un preludio quasi onirico, in cui percepiamo la lama e il malessere dell’assassino. Subito dopo, il registro narrativo cambia e diventa quello di un giallo classico, dove il commissario non è uno “sceriffo”, ma deve sottostare a una burocrazia e al volere dei superiori. Parlaci della difficoltà di questa scelta, e dunque di cosa parla il romanzo.

FC: Come dicevo prima, mi ero posto la sfida: scrivere un giallo classico, non importava se bello o brutto, la cosa fondamentale era che ogni cosa descritta doveva avere una corrispondenza con la realtà. Ho sempre odiato i gialli nei quali l’assassino è perfetto fino all’ultima pagina e poi impazzisce e si fa prendere. O quelli dove c’è un abuso delle tecnologie scientifiche e il pazzo viene preso perché lascia sulla scena del crimine una traccia che conduce in maniera univoca a lui (e anche questa è una cosa piuttosto improbabile, il fatto che una determinata traccia sia riconducibile a una sola persona).

Da qui sono partito, dall’omicidio di una bella ragazza e da una situazione che all’apparenza non lascia spazio a tanti dubbi. Ma come accade in ogni mia storia, niente è mai come sembra. I personaggi cambiano, mostrano aspetti e vissuti che rimescolano tutto. Come se non bastasse, in questa specifica vicenda scoppia il circo mediatico, i tour dell’orrore e le ingerenze politiche buttate là per tornaconti personali e non certo per il desiderio di giustizia. Qui ho voluto fare un attacco, per nulla velato, a un determinato modo di fare (dis)informazione e politica, modus operandi che io considero cancerogeno.

In questo vortice che via via perde di senso, il povero commissario Paolo Marchese, funzionario dello stato fin troppo ligio al dovere, si ritrova quasi da solo a remare verso la soluzione. Fino a che il delirio monta a un livello tale che il nome di Chiara Maffei diventa solo un pretesto, buono per giustificare qualunque nefandezza. Di sicuro, a un certo punto, pare non importare più a nessuno perché e per mano di chi sia morta.

S83: Addirittura a un certo punto scoppia una rivolta.

R Sì, senza entrare nello specifico, questo mi permette di parlare di un secondo aneddoto simpatico. Parlando con Giulia, lei, comprensibilmente, riteneva un pochino irrealistico questo passaggio. Sono andato a letto riflettendo molto seriamente su quello che mi aveva detto. Poi mi alzo la mattina, accendo la televisione e vedo i fatti di Capitol Hill, e mi sono ricordato di Pirandello, della realtà che supera sempre di gran lunga la fantasia e ho pensato che forse – purtroppo – non scrivo cose chissà quanto assurde.


O forse, caro Francesco, l’assurdo è semplicemente un altro modo di leggere, e spesso di prevedere!, il reale. Felici di aver lavorato con te e di vederti, felice a tua volta, ben instradato nel tuo percorso di scrittura e pubblicazione!

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